IL CARNEVALE DI MISTERBIANCO (Sicilia)
Quello di Misterbianco è sicuramente uno dei carnevali più affascinanti e coinvolgenti d’Italia per l’unicità e la tipicità che lo contraddistinguono legata alla ricercatezza e pregevole fattura dei costumi che si rinnovano di anno in anno per regalare agli spettatori momenti di sano divertimento.
Questo Carnevale nasce agli inizi degli anni Ottanta, quando per le vie del centro fecero la loro comparsa i primi fantasiosi costumi che oggi si caratterizzano per l’eleganza e il taglio d’alta sartoria.
Costumi di notevole fattura vengono proposti come veri e propri capolavori. La realizzazione degli abiti richiede mesi di lavoro, minuziosa ricerca e fantasia. Storie che si intrecciano tra i merletti e giochi di colori dipingono i tessuti. Queste opere d’arte possono anche pesare oltre 40kg.
Il Carnevale a Misterbianco è una combinazione di folklore, turismo,cultura e artigianato.
POLECENELLE BIELLE ( Alessandria del Carretto)
I protagonisti della storia del Carnevale di Alessandria del Carretto sono U pohicinelle bielle” e u pohicinelle brutte, due maschere di carnevale dai tratti particolari.
I pulcinella belli sono maschere che prevedono pantaloni bianchi, camicia chiara, anfibi ai piedi e una maschera verniciata di bianco, dal taglio molto semplice; a fornire i colori ci pensa il “cappelletto”, un copricapo abbellito da nastri, piume, coccarde multicolore e svariati altri addobbi, tra cui il più particolare è sicuramente uno specchio.
L’ultimo accessorio è “u scruiazzo”, un bastone di legno lavorato e decorato da incisioni eseguite personalmente da maestri falegnami locali, con appese all’estremità delle sfere di tessuto colorate che propiziano fortuna e fertilità a chi assiste alla sfilata.
Associato ai rituali di fidanzamento tradizionali, l’attenzione che si dedica nel preparare e indossare questo costume può essere paragonata a quella che si mette nel preparare un abito di nozze.
A fare da contraltare ai pulcinella belli ci pensavano i pulcinella brutti, rappresentanti delle persone anziane, maschere spaventose composte da un costume nero in pelle di pecora o capra, ornato da campanacci e catene, che facevano pesanti scherzi a chi aveva la sfortuna di incrociare la loro strada e spargevano cenere per le vie del paese in un corteo “nero” e cupo che contrastava con quello “bianco” e allegro dei pulcinella belli.
IN NOMINE ANXA (Lanciano)
Il gruppo tamburi IN NOMINE ANXA nasce nel 2019 a Lanciano ( CH ) ,con l’intento di proseguire un percorso precedentemente avviato in una realtà differente.
Il gruppo è composto da ragazzi Lancianesi di varie età, intenzionati a condividere e portare avanti la propria passione per l’ambito musicale e per la cultura medievale,in territorio Frentano che ne è la culla,regionale e nazionale.
Il gruppo vanta elementi già forgiati in ambito musico medievale,attraverso numerose partecipazioni a cortei di rievocazione storica nazionali ed internazionali.
IN NOMINE ANXA rievoca tempi lontani dell’epoca Angioina,si parla del 1300 circa, quando il tamburo era un vero e proprio mezzo di comunicazione,ed il suono accompagnava ogni tipo di eventi.
CARNEVALE DEGLI ZANNI (Abruzzo)
Il corteo degli Zanni è il momento più importante del Carnevale Storico dei borghi di Pozza e Umito nelle Marche. La maschera caratteristica è appunto lo Zanni, vestito di bianco e adornato da stole colorate con il caratteristico e coloratissimo cappello a punta arricchito di focchi e coccarde. Come da tradizione, lo Zanni appende alla cima del capello l’immagine della sua donna ideale usanza che rimanda ai tempi in cui il carnevale era l’occasione per i giovani del paese di fare proposte di matrimonio. Ecco perche’ nel corteo troviamo anche la coppia di sposi. In mano ogni Zanni tiene la Stagliola, un oggetto simile ad una spada in legno che in realtà è un’antica unità di misura. Ogni Stagliola è una piccola opera d’arte abbellita con disegni e incisione personalizzati per ogni partecipante. E poi c’è il diavolo, tenuto a bada dal guardiano dell’ordine, oggi impersonato da un carabiniere.
IL DIAVOLO DI TUFARA-Tufara (CB)
Il “Diavolo” indica una arcaica maschera carnevalesca che, come vuole la tradizione, spunta all’improvviso l’ultimo giorno di Carnevale tra i vicoli del paese, palesandosi tra corse, salti, danze e acrobazie sfrenate che suscitano un timore reverenziale per una figura misteriosa e aliena. Il diavolo indossa sette pelli di capro che, secondo i riti pagani, era l’animale in cui era solita manifestarsi la divinità; impugna un tridente, ha un volto diabolico sul quale il colore prevalente è il rosso fuoco, occhi sgranati, denti digrignati e orecchie a punta: insomma un essere mostruoso. Le vere origini e il significato di questa figura si perdono nella notte dei tempi e nessuno le conosce veramente. Forse rappresenta proprio il padrone degli inferi richiamato sulla terra da riti pagani. Taluni attribuiscono a questa maschera il significato della danza propiziatoria in cui i nostri antenati si esibivano quando intuivano la fine dell’inverno e i primi segni del risveglio della natura; altri, invece, il significato di una danza liberatoria per scrollarsi di dosso e dimenticare per un momento le fatiche della vita, altri ancora il significato della rappresentazione della passione e la morte di Dioniso, dio della vegetazione, le cui feste venivano celebrate in quasi tutte le realtà agresti. Il diavolo, però, non è solo nelle sue esibizioni contorte. E’ infatti preceduto dalla “morte “, impersonata da figure vestite di bianco con il volto cosparso di farina e che rappresentano la purificazione del seme che muore per dar vita alla pianta e al raccolto. Non a caso, questa figura è armata di falce che viene fatta volteggiare evocando proprio il gesto dei contadini che mietono il raccolto con il canto che cadenzava il lavoro sostituito da urla, grida e salti delle maschere. I folletti trattengono il diavolo per le catene e lo trascinano per le vie del paese cercando di tenere a bada la sua foga ma egli cerca di divincolarsi, saltando, buttandosi e rotolando per terra.
S’AINU ORRIADORE–Scano di Montiferro (OR)
S’Ainu Orriadore è una figura demoniaca che trae origine da un’antica credenza popolare nel paese di Scano di Montiferro. Si racconta che quando stava per morire qualcuno, nelle vie del paese comparisse S’Ainu Orriadore, ossia il demonio che voleva impossessarsi dell’anima dello sventurato sul letto di morte. Si presentava sotto forme diverse, assumendo sembianze d’asino, bue o cane bianco con faccia scarna, piedi d’asino o zampe di gallo. Quando non riusciva nel suo intento si dileguava verso il cimitero dell’oratorio di San Nicolò, emettendo “orulos” (ragli e suoni che non somigliavano in realtà a nessun animale) misti a pianto, stridio di catene e campanacci, incutendo così tra la gente paura e terrore. La parte della maschera che copre il viso è detta “sa carruga”, realizzata con bacino d’asino, bue o vacca viene sostenuta da tiranti in pelle che formano una sorta di imbragatura attorno alla testa. Il copricapo è realizzato con pelle di capra di colore scuro che copre la parte posteriore del capo. La mastrucca a mezza manica, “sa zimarra”, è lunga fino a metà gamba, realizzato con pelli di ariete di colore bianco. I pantaloni, “sos calzones”, sono realizzati in fustagno o velluto nero. Gli scarponi di colore nero, realizzati artigianalmente in cuoio ingrassato, sono chiusi da “sas corrias” in pelle. “Cadenas”, “sonazzas” e “fuste” (catene, campanacci e bastone) vengono utilizzati a completamento del costume e per rievocare quei suoni particolari che un tempo incutevano tra la gente paura e terrore.
SA MASCHERA A GATTU-Sarule (NU)
La maschera indossa le due gonne del costume tradizionale sarulese al rovescio, una coperta legata con una fascia rossa sulla testa ed il caratteristico velo nero a coprire il proprio viso. La scelta di questi colori e di questi capi d’abbigliamento è data dal fatto che ciascuno indica un avvenimento importante nella vita di una persona: il velo nero costituisce la morte; la copertina bianca, invece, la nascita; e la fascia rossa, il connubio perfetto tra due individui, cioè il matrimonio. Nella parte sottostante, le donne indossano duos oddes, cioè due gonne in orbace al rovescio, poste in tale modo per richiamare l’idea astratta dell’anonimato o semplicemente per nascondere i ricami. Una è allacciata al collo e l’altra alla vita. Qualche volta, la scelta ricade sull’utilizzo di una sola gonna, ugualmente indossata al rovescio, che si mette al collo e si porta sopra i pantaloni “a s’isporta” con “sos cambales”. Già dal 1850, nel paese di Sarule, si era soliti ricorrere a tale maschera, chiamata in tale modo per il modo di porsi e di muoversi. Ogni singolo elemento del vestiario è fatto rigorosamente a mano. Il corrispettivo abito maschile è denominato Su Maimone ed è caratterizzato da una maschera posta sul volto, fatta con pane de morisca, ossia la foglia essiccata dei fichi d’India. Gli altri importanti indumenti sono: su gappottinu – un cappotto in orbace – sos pantalones a s’isporta – i pantaloni alla cavallerizza, di velluto – sos cosinzos – gli scarponi – e sos cambales – i gambali in pelle. Il costume rappresenta un fantoccio, fonte di buon auspicio. Secondo l’antica tradizione, i cittadini mostravano alla folla un fantoccio che era abbellito con i medesimi capi che costituiscono la maschera de Su Maimone e che veniva trasportato su un carro, in giro per il paese, ed era utile per contadini e pastori per augurare loro un ottimo lavoro e un’altrettanta ottima produzione.
IL CARNEVALONE-Montescaglioso (MT)
Il Carnevalone di Montescaglioso, che nasce dalla cultura dei massari e dei braccianti, celebra i riti propiziatori della fertilità e del risveglio della natura e le figure tradizionali dell’evento rimandano a simboli arcaici provenienti dal mondo greco-romano e medievale.
Anticamente i costumi erano realizzati con pelli di animali, oggi viene utilizzata la tela di canapa, di juta, ma anche la plastica dei sacchi per le sementi del grano, carta, cartoni, stoffe di vestiti in disuso. Il Carnevalone, come la natura, ricicla quasi tutto. All’alba del martedi grasso, ha inizio il lungo rito della vestizione. Il gruppo ha precise figure e gerarchie. Apre la parca, che rotea il lungo fuso tra le gambe della gente: simbolo della ruota del tempo che gira e della morte che prima o poi arriva. Seguono i portatori dei campanacci più grossi, la tetra figura della “Quaremma”, vestita di nero e con in braccio un neonato. Ed ancora la carriola con il Carnevalicchio in fasce, ove depositare le offerte in natura e la sposa di Carnevalone, più o meno sguaiata, che ferma tutti e chiede offerte in natura e danaro.
Chiude il corteo il vecchio e massiccio Carnevalone, che indossa un mantello nero, con in testa un cappellaccio, a cavallo di un asino, conscio che nella notte schoccherà la sua ultima ora.
I DOMINI-Lavello (PZ)
La maschera lavellese affonda le sue origini lontane in un misto di sacralità, devozione e simbolo di allegria e baldoria.
I Domini indossano una lunga tunica in raso, generalmente di colore rosso, guarnita con un cappuccio che nasconde il viso e con un cordone che cinge il saio.
l colore del domino variava in base al ceto sociale di chi lo indossava e così poteva essere rosso o nero, successivamente anche blu.
Ogni maschera, inoltre, porta con sé un sacchettino, intonato con il colore del domino, dove conserva caramelle e cioccolatini da donare a chi accetta l’invito di ballare insieme nelle varie feste.
Secondo alcune fonti, il costume carnevalesco lavellese riprende le forme degli abiti indossati dai “Papalosce”, i confratelli della Buona Morte, esistente presso la chiesa dell’Annunziata di Lavello, che accompagnavano i defunti in processione.
I CAMPANACCI-San Mauro Forte (MT)
Ogni 16 gennaio si ripete l’antico rito nel paese della collina materana, legato alla festa di Sant’Antonio Abate, dove il carnevale è contraddistinto dalla sfilata di diverse bande di suonatori di campanacci, che percorrono le vie del paese al suono di questi caratteristici e rumorosi strumenti.
Uomini di ogni età girano per le strade del paese, muniti di enormi campani armentizi. che suonano, tenendoli abilmente tra le gambe. I campanacci sono sia di sesso maschile che femminile: i “maschi” sono più lunghi ed hanno il battacchio che fuoriesce dalla bocca di qualche centimetro, mentre le “femmine” sono piuttosto larghe. È evidente l’allusione sessuale e il valore simbolico, infatti ai Campanacci é attribuito il decisivo compito di allontanare ogni forma di sventura, come ad esempio la grandine, e di favorire la fecondità dei campi e l’abbondanza delle messi.
LE BRIGANTESSE – Ferrandina
Per il primo anno diamo spazio a maschere lucane nuove e ritrovate come le Brigantesse di Ferrandina. Le brigantesse sono sempre state rappresentate circondate da un alone positivo, miscuglio di coraggio e romanticismo.
LE MASCHERE-Tricarico (MT)
Le Maschere di Tricarico, “l’Mash-kr” in dialetto locale, personificano il “toro” e la “mucca”.
Un cappello a falda larga coperto da un foulard e da un velo, entrambi bianchi, decorato con lunghi nastri multicolori che scendono lungo le caviglie, per la “mucca”. Un copricapo nero addobbato con lunghi nastri rossi per il “toro”.
Protagoniste assolute del carnevale tricaricese, le Maschere di Tricarico danno sfogo alla propria ilarità il giorno del 17 gennaio, in occasione di Sant’Antonio Abate, e la domenica antecedente il Martedì Grasso.
Alle prime luci dell’alba un suono cupo e assordante sveglia la popolazione dal torpore della notte: sono i campanacci fragorosamente agitati da figuranti travestiti che annunciano l’inizio delle celebrazioni del carnevale.
Le maschere di Tricarico governate da un “massaro” o da un “vaccaro” raggiungono la chiesa di Sant’Antonio Abate e da qui il viaggio prosegue per il centro storico e le strade del paese, toccando gli storici quartieri della Rabatana, della Saracena e della Civita, in un corteo che rievoca la transumanza, migrazione stagionale di mandrie di animali.
Disposte in due file, secondo uno schema ordinato, mimano l’andatura delle bestie, finché i “tori” non improvvisano sorprendenti sortite e, sfuggendo al controllo del “capo”, inscenano l’accoppiamento con le “mucche”, un retaggio di culture ancestrali, legate ai riti della fertilità.
LA SCASADA DEL ZENERU’-Ardesio (Lombardia)
Ogni anno, il giorno 31 Gennaio, ad Ardesio, in alta Valle Seriana, si “scaccia” l’inverno con la “Scasada del Zenerù”, importante e consolidata tradizione del paese.
Un appuntamento considerato nell’antichità cerniera tra inverno e primavera, prendono il via i gelidi giorni della merla: in Alta Val Seriana la sera del 31 in migliaia si unisco agli ardesiani per “scacciare” l’inverno, il freddo e la brutta stagione, facendo un gran baccano con campanacci, latte, raganelle piccole e giganti e tutto ciò con cui si può far rumore, in un corteo attraverso il percorso storico delle vie del paese che segue il famoso fantoccio, il quale, ogni anno con sembianze diverse, rappresenta la fredda stagione che sarà simbolicamente cacciata, bruciando attraverso un meraviglioso e suggestivo falò.
BRIGHELLA-Comun Nuovo (Bergamo)
Quella di Brighella è una storia importante, nei secoli, fin dal 1500, la sua maschera venne acclamata nelle più grandi corti e teatri d’Europa.
Brighella è una maschera popolare bergamasca e della commedia dell’arte, il suo termne deriva da briga, brigare. Sempre in mezzo agli intrighi è un mestierante poco onesto e il suo comportamento è quasi sempre poco lecito. La sua mente è agile quanto l’agilità di gambe di Arlecchino. E’ un personaggio arguto, talvolta beffardo e mordace. La sua parlata è un colorito vernacolo bergamasco misto con quello veneto. E’ molto abile nel cantare, suonare e ballare.
RATAPLAM (Bergamo)
L’attività del gruppo è rivolta alla ricerca, valorizzazione e riproposta della tradizione musicale e canora sopratutto della provincia di Bergamo, rivisitando e riproponendo il corposo repertorio con stile proprio del gruppo.
I brani musicali riguardano le “Sonate d’allegrezza delle campane bergamasche” pezzi che tuttora vengono eseguiti sulle campane dai campanari nei giorni di festa percuotendo una tastiera collocata nella cella campanaria, è un’antica tradizione ancora radicata in tutta la provincia di Bergamo in special modo in Val Gandino. Tutti i brani musicali proposti sono stati rielaborati per strumenti che compongono il gruppo, “Chitarre, Fisarmonica, Mandolino, Contrabbasso, Tromba, Xilofono, Percussioni e strumenti tradizionali bergamaschi come Il Baghèt (la Cornamusa bergamasca fonti iconografiche fanno risalire lo strumento al 1347), le Campanine (Risuonatori di vetro strumento utilizzato dai campanari per allenarsi al di fuori del campanile) e il Sivlì e Sivlòt (Flauti) della Valle Imagna, il tutto produce sonorità originali e uniche.
DONDOLASI-Croazia
Il loro vestito è composto da pelli di pecora, la crabuia (fatta da ossa di toro) e hanno il viso dipinto di nero. Le Maschere si muovono in coppia, sbattendo tra loro la grande campana stretta sulla schiena. I Dondolasi formano un cerchio, e si muovono in direzione antioraria, a simboleggiare il ritorno a tempi antichi e il ritorno alle loro radici. Con il dondolare (suonare) uniforme nel cerchio, esprimono il loro desiderio di una vita armoniosa e sicura e con le mani alzate mostrano determinazione a difendere i valori a loro affidati. Così da secoli i pastori delle montagne di Grobnicki allontanavano gli animali selvaggi dai loro boschi per preservare il proprio bestiame: i dondolasi (letteralmente dondoli) spaventavano le bestie feroci, soprattutto se accompagnati del grido dei pastori vestiti di animali, che con le braccia alzate al cielo scacciavano il maligno dai pascoli.
I KUKERI-Bulgaria
I Kukeri sono elaborati costumi tradizionali maschili della cultura bulgara che si distinguono per i loro alti cappelli conici e campanacci.
Solitamente sono uomini che indossano elaborati costumi e maschere spaventose per impersonare creature mitologiche. I costumi sono fatti a mano con pelli di animali, piume e legno, e spesso rappresentano animali come capre, orsi o creature demoniache. Un elemento immancabile sono le grandi campane di rame, chiamate “chanove”, che i Kukeri portano appese alla vita per creare un frastuono assordante durante le loro danze.
A tali costumi è correlata una serie di riti e danze che riprendono le antiche cerimonie agrarie dei Traci legate al culto del dio Dioniso. I figuranti attraversano il villaggio con coloratissimi costumi e cinture di campanacci in ferro, come rito propiziatorio per scacciare il male. Si dice che le maschere portino fortuna e buona salute, caricando di energia le persone che le incontrano.
LANCOVA VAS Videm Pri Ptuju – Slovenia
A Ptuj si svolge una delle più grandi feste di Carnevale di un vasto territorio – Kurentovanje. Kurentovanje è un’usanza pagana volta a scacciare l’inverno ed annuncia di fatto l’inizio di un nuovo ciclo di vita. È un momento di gioia e di follia, che al contempo ricorda l’indiscutibile dipendenza dell’uomo dalla natura e dalla sua forza di conservazione della vita. Ogni anno il Carnevale di Ptuj accoglie più 100.000 visitatori e non a torto è reputata una delle città dai festeggiamenti più entusiastici. L’importanza dei kurenti (tipiche maschere tradizionali) è testimoniata anche dall’iscrizione dell’usanza nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO nel 2017.
LA DANZA DEI FALCETTI-Episcopia (Basilicata)
La festa in onore della Madonna del Piano viene celebrata ogni anno, per antica tradizione, nei giorni 4 e 5 agosto
I solenni festeggiamenti hanno inizio il pomeriggio del 4 agosto, quando ha luogo una prima stilata per le vie cittadine con gregne (strutture lignee rivestite di spighe di grano K sapientemente intrecciate, recate in testa dalle donne) e scigli (di simile fattura, portati a spalle da due persone).
Il 5 agosto, alle prime luci dell’alba, si snoda una processione preceduta da scigli e gregne verso il Santuario, e lungo il percorso si rinnovano i ritmi di antiche danze popolari. I giocatori (pacchiani) mimano il gioco del falcetto tenendo in una mano la falce (ora in legno) e nell’altra un manipolo di spighe / per ricordare e riattualizzare il momento in cui accadde il rinvenimento della statua da parte dei mietitori i quali, per festeggiare questa miracolosa scoperta, si abbandonano all’esultanza e alla gioia, danzando con in mano la falce e il manipolo di spighe.
L’URS-Teana (Basilicata)
A Teana il Carnevale si festeggia con tante maschere tradizionali, tra queste le più importanti ci sono l’Orso & e il Carnevale che verrà processato. Il corteo di Carnevale è composto da quattro gendarmi, un prete e il sacrestano, il giudice con alcuni medici, la Quaremma e alcune figlie che il padre ha affamato.
Nonostante si proceda verso un processo che sarà seguito dalla condanna, la stilata è allegra. Musicanti suonano cupa cupa e organetto. Con loro ci sono anche lo Sposo & e la Sposa e il portafortuna con una colomba in gabbia.
Come Carnevale le altre maschere cantano e ballano S per i vicoli di Teana. Quando il variopinto corteo arriva in piazza può cominciare il processo.
Il giudice lascerà decidere la sentenza al popolo che lo condannerà a morte per fucilazione, l’Orso però riuscirà a liberarsi dalla catene e fuggirà nel bosco con Carnevale.
U RUMIT E L’URS-Satriano di Lucania (Basilicata)
Secondo una leggenda satrianese il rumìt abiterebbe in due strette e profonde grotte naturali che scendono in verticale per decine di metri in due montagne vicino a Satriano.
La maschere del rumit si accompagna a quella dell’urs (l’orso), descritto come una specie di controparte aggressiva del rumìt. Entrambe le maschere simboleggiano la natura, ma mentre il rumìt è una maschera silenziosa e muta, l’urs è quella che scorrazza per il paese, agitando un grosso campanaccio, e fa danni e dispetti. Un tempo il suo costume era fatto di pelli di pecora o capra, attualmente di materiali sintetici.
IL CARNEVALE-Salandra
S.Antuono abate del 17 gennaio segna l’inizio del periodo di Carnevale fino fino al martedi grasso, tutta la popolazione locale diventa protagonista principale o coadiuvatore nella realizzazione delle maschere, del vestiaria, delle sfilate o dell’organizzazione delle sfilate, a partire dal campanaccio fino al rogo del Carnevale. Le maschere indossano dei mantelli di paglia e delle maschere rosse; sono accompagnate dalla musica delle fisarmoniche e dei cosiddetti cupa-cupa.
GLI SQUACQUALACCHIUN DI TEORA _ Avellino
Nella cittadina di Teora, in provincia di Avellino, ogni anno, a partire dal 17 gennaio, giorno che la Chiesa dedica alla celebrazione di Sant’Antonio Abate, fanno la loro comparsa i tradizionali “Squacqualacchiun”, uomini camuffati con delle maschere che girano per il paese senza un preciso significato e che, di fatto, aprono il Carnevale.
L’origine degli “Squacqualacchiun” – termine che potrebbe derivare dalla voce dialettale “squacquarat” che significa “trasandato” – si ricollega a ritualità legate al mondo pagano, come i Baccanali, il culto di Dioniso e delle divinità dei boschi, e per questo rappresentano un momento di ebbrezza, di gioia, di evasione, di libertà.
Queste figure antiche, primitive e grottesche – che ricordano, per certi versi, i Mamutones della Sardegna – indossano un costume composto da un sacco di tela con una giacca stinta messa a rovescio. Il loro viso è coperto da un cappuccio che funge da maschera e che lascia intravedere solo gli occhi.
In mano portano dei bastoni, alle cui estremità sono attaccati dei campanacci, che emettono un rumore cupo, e degli aghi di pino, che usano per i loro rituali. Nel loro girovagare per i rioni del borgo irpino, infastidiscono e ingiuriano i passanti con lazzi e gesti un po’ “spinti”.
Una volta giunti nel centro del paese, gli “Squacqualacchiun” improvvisano una danza prima intorno a “lu pagliar” (il falò) e poi intorno alla fontana principale, compiendo il loro rito magico.
La tradizione vuole che la prima apparizione della maschera sia il 17 gennaio, anche se l’uscita più importante avviene l’ultimo sabato del mese in occasione della festa che celebra una pietanza tipica della tradizione culinaria teorese, la Tomacella, una polpetta fatta con frattaglie di maiale, rafano (un’erba essenziale dal sapore simile a quello della senape) e formaggio grattugiato.
LA FARSA CARNEVALESCA di Eboli
La maschera ebolitana del “Don Annibale” è assai antica. Risale ai primi anni del ‘700 e veniva recitata, cantata e suonata per le piazze del paese nelle domeniche che precedevano il carnevale e il Martedì Grasso, ultimo giorno di carnevale.
Tramandata da generazione in generazione, subì un periodo di stasi durante la Grande Guerra; fu ripresa nel 1929, recitata come in origine fino al 1940 e, per alcuni anni, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ovunque veniva accolta da applausi e consensi; finiva a tardissima ora della sera e si concludeva con una ballata, cantata e suonata nelle case delle varie famiglie che, con abbondanti mangiate, ospitavano i figuranti. I personaggi erano tutti maschi poiché all’epoca era vietato alla donna recitare. Si ignora il nome di chi la scrisse e chi la musicò.
TRAMA – La farsa narra della celebrazione di unione tra Giulietta e il protagonista principale Don Annibale, contrastato da zì Aniello, padre di Giulietta. Con l’aiuto di un intermediario, il Dottore che tutti i mali guarisce, i due riescono a convolare a nozze. Ma i problemi non finiscono perché all’improvviso compare una nota figura carnevalesca, Pulcinella, che con molto folklore chiede la mano della serva del Dottore, Carolina. Il dottore si trovava a risponderne in prima persona alla richiesta di Pulcinella e alla volontà di Carolina di unirsi con il proprio amato.
La farsa finisce con un invito rivolto a tutti i presenti a partecipare al matrimonio tra Don Annibale e Giulietta, accompagnato da una tarantella napoletana eseguita dai musicisti, sempre presenti.
TRAME D’EPOCA
Un corteo di 131 costumi tradizionali dei comuni della Basilicata del periodo compreso tra il 1800 e l’inizio del 1900. Gli abiti, soprattutto di donne, raccontano anche parte dell’era contadina che la Regione Basilicata ha vissuto pienamente.